Koroshiya-1

…Altresì conosciuto come “Ichi the Killer”, ecco il prequel di un manga decisamente violento.

Koroshiya-1


Shiroishi è un giovanotto con parecchie turbe psichiche: vittima dei bulli e con una famiglia decisamente poco presente, sprofonda sempre più negli abissi della depressione fino a quando trova l’unica cosa che lo eccita: la violenza. Nonostante sia disgustato di sé stesso non riesce più a smettere: inoltre, gente con pochi scrupoli lo addocchia e inizia ad “addestrarlo” per utilizzarlo nei loro biechi piani…

Questo breve OVA di circa tre quarti d’ora segue la storia di Shiroishi e della sua caduta nei meandri della follìa violenta. Sebbene l’idea possa essere decisamente interessante, purtroppo la realizzazione lo è parecchio meno: essendo questo un prequel dell’omonimo manga, le cose si interrompono quando si fanno interessanti. Quello che rimane da vedere è come Shiroishi tenta di controllare i suoi impulsi (fallendo miseramente) e come dei non meglio identificati criminali si impegnino per spingerlo ancor più nell’abisso della violenza, per farne un assassino al loro servizio.
Forse avendo letto il manga questo potrebbe chiarire un po’ di cose, ma come lavoro a sé stante sembra più che altro un teaser che non una produzione con capo e coda.

In così poco tempo, c’è ovviamente spazio soltanto per lo sviluppo del protagonista: i comprimari sono parecchio marginali. Bisogna dire che Shiroishi effettivamente cambia a seguito dei vari avvenimenti (d’altra parte, l’intera trama verte su questo)… e cambia per il peggio, quantomeno dal punto di vista umanistico. I cambiamenti risultano credibili, frutto di genitori assenti e senza rispetto, di compagni che lo bullano e lo picchiano e di presunti amici che lo ricattano: probabilmente chiunque dopo un po’ darebbe segni di squilibrio mentale.

Il disegno non è nulla di che, e le musiche sono parecchio rockettare/metalleggianti: non malaccio.

Insomma, vale la pena di guardare Koroshiya-1? Secondo me, solo se si è già fan della serie e si vuol sapere qualcosa in più. Non è il Male, ma senza il lavoro principale a supportarlo non riesce a stare sulle proprie gambe.

Voto: 5. Potrebbe uscire qualcosa di ottimo dalla serie animata completa: purtroppo, non è in programma…

Consigliato a: chi già legge il relativo manga; chi ama la violenza senza senso; chi non si offende a vedere giovani disturbati che hanno erezioni mentre ammazzano conigli e si masturbano sui cadaveri.

Vampire Wars

…Un anime su vampiri, antiche divinità, servizi segreti e chi più ne ha più ne metta.

Vampire Wars


Kuki è un uomo che vive d’azione: nel suo passato si possono trovare lavori con i servizi segreti, e con una pistola in mano ci sa fare.
Un giorno, viene incastrato in un caso d’omicidio, e il mistero è presto svelato: ci sono organizzazioni che si stanno muovendo nell’ombra per accaparrarsi una giovane ragazza, che custodisce in sé un immenso segreto. Riuscirà Kuki a proteggere le persone a lui care? Cosa si cela dietro alla scia di morti che sembra seguirlo?

Come si può notare, nel breve riassunto qui sopra non si parla di vampiri: nonostante il titolo, infatti, Vampire Wars ha molto poco a che fare con i succhiasangue nottambuli. Certo, ci sono, e di principio hanno anche un ruolo importante: essi appaiono soltanto a film inoltrato, quando buona parte dei circa 50 minuti di visione è passata.
Detto questo, si può anche dire che questo OVA, più che una storia, sembra un riassunto di quest’ultima: c’è una trama, seppur basilare, che ha una parvenza di senso, però la stessa viene sviluppata piuttosto casualmente e molte cose accadono senza dare il tempo di capire. Ad esempio, in una scena Kuki viene torturato per essere convinto a collaborare: dopo cinque minuti lui è riuscito a scappare dai suoi carcerieri, nascondersi, tornare a trovarli e… mettersi a disposizione per lavorare con loro! Ma non gli conveniva farlo subito? Mah.
Casi del genere non sono infrequenti, e purtroppo la trama ne risente. Inoltre, il finale arriva quando le cose sembrano diventare interessanti: nel momento in cui tutti i personaggi si stanno muovendo al loro posto, arriva la parola fine lasciando un miliardo di cose in sospeso.

I personaggi, chiaramente, hanno poco tempo per svilupparsi: va però detto che in quel poco tempo trovano spazio per contraddirsi con grande piacere. Come già detto Kuki in molteplici casi smentisce in due minuti ciò che egli stesso dice: anche altri personaggi importanti fanno altrettanto. Persone che sembrano i cattivi un attimo dopo paiono essere i buoni, e chi un momento pare invincibile deve andare a chiedere supporto a destra e a manca poco dopo. È un po’ un peccato, perché se non avessero perso il tempo impiegato per contraddire sé stessi avrebbero magari potuto combinare qualcosa in più.

Va detto che non ci sono soltanto lati totalmente negativi. Le scene di sangue sono moderatamente diffuse e ne scorre in sufficiente quantità: purtroppo non si vedono quasi mai i vampiri in azione, ma qualcosina viene comunque concesso allo spettatore. Da encomiare inoltre il fatto che i creatori di Vampire Wars non hanno ricorso al solito squallidissimo trucchetto del piazzare qualche scena di sesso qui e là tanto per far vedere un po’ di tette a casaccio e occupare qualche minuto con ulteriori scene di scarsa qualità.

Il disegno mostra tutti i suoi vent’anni, sebbene non sia terribile: le musiche sono praticamente inesistenti.

Insomma, Vampire Wars è sicuramente un lavoro che non impressiona: offre qualche simpatica scena, fa il possibile per evitare di rendersi ridicolo e poco più.

Voto: 5,5. Purtroppo a mio parere non arriva alla sufficienza, ma è probabilmente meglio di altri lavoracci simili stile Twilight of the Dark Master.

Consigliato a: chi ama i vampiri a tal punto da guardare un intero OVA per incontrarne solo uno alla fine; chi ama anime d’azione, anche se non esattamente di altissima qualità; chi si chiede quanto possa essere utile avere sangue alieno antico derivante da guerre interstellari di eoni fa.

Devil May Cry

……e dopo il videogioco di successo, l’anime!

Devil May Cry


Questo anime è tratto dall’omonimo videogioco, di grande successo. Per chi non sapesse di cosa parla, il protagonista è Dante, per metà umano e per metà figlio di un potentissimo demone dell’inferno. In virtù della sua sovrannaturale potenza, con la sua coppia di pistole e il suo immenso spadone combatte contro altri demoni che dal loro mondo tentano di invadere la nostra realtà. Purtroppo tale attività non paga molto, e la sua agenzia di tuttofare deve accettare anche lavori di diversa natura, come proteggere bambine, custodire tesori e quant’altro… ma cosa c’è dietro ai vari incontri che Dante sta facendo? Come si combinano con Patty, la bambina che dopo una missione di protezione ora gli fa compagnia? E Dante è davvero invincibile come sembra?

Con queste premesse, pare chiaro che le dodici puntate di Devil May Cry siano prettamente improntate all’azione. Quasi tutti gli episodi sono stand-alone, ma dopo un po’ si inizia ad intravedere una linea di fondo che si sviluppa: è ovvio che non si può sperare in una trama complessa, ma almeno una parvenza di sforzo in tal senso è stato fatto. Purtroppo la conclusione è simpatica ma troppo trascinata, e le ultime puntate in alcune parti sono molto meno adrenaliniche di quanto avrebbero potuto essere.

A tal senso va spesa una parola sui combattimenti, parte rilevantissima di questo anime. Ce ne sono almeno un paio a puntata, e sono di fattura abbastanza buona: i demoni spruzzano sangue a palate, e sparatorie assurde mischiate a spadonate in giro fanno sempre bene all’umore. Aggiungendo altri personaggi con armi quantomeno esotiche (lanciamissili con baionetta-motosega, o direttamente fulmini sparati dalle mani) il tutto può diventare abbastanza distruttivo. Purtroppo in parecchie puntate tali momenti sono intensi ma brevi, lasciando desiderare qualcosina in più.

I personaggi chiaramente non hanno nemmeno uno straccio di sviluppo, ma immagino che nessuno se l’aspettasse: Dante è l’invincibile tamarro, Lady è la classica donzella distruttiva, Patty è l’ovvio supporto per alcune battute o situazioni più leggere (sebbene non ci siano vere e proprie battute o momenti di comicità) e via dicendo. Ognuno ha un ruolo, da esso non si scosta e amen.

La grafica non è malaccio, e l’animazione è abbastanza fluida: in alcuni punti il disegno non è proprio da primato, ma si vede in giro di molto peggio. Ho gradito la colonna sonora, con pesanti schitarrate nei momenti di violenza e un’opening secondo me gradevole. Unica nota dolente l’ending, che trovo decisamente fuori posto e troppo lenta.

Insomma, con Devil May Cry si trova esattamente ciò che ci si aspetta da un titolo simile. Tratto da un gioco in cui c’è violenza estrema seguita da altra violenza estrema, è un anime d’azione realizzato in maniera accettabile, con un paio di puntate più carine e un paio meno. Non è un capolavoro, non ha chissà che trama, ma credo che chi lo guardi non s’attenda nemmeno per un secondo una cosa simile.

Voto: 7. Un onesto anime d’azione, come tanti. Per essere tratto da un videogioco, è fatto abbastanza bene e permette anche a chi non ha giocato ai titoli originari di guardarlo senza bisogno di capire particolari retroscena.

Consigliato a: chi ha giocato la serie videoludica relativa; chi cerca un po’ d’azione senza pretese, e nulla più; chi vuol conoscere lo sterminatore di demoni adoratore assoluto di pizza senza olive e strawberry sundae.

Tokyo Magnitude 8.0

…Per gli amanti dei disaster movies, ecco qualcosa di adatto!

Tokyo Magnitude 8.0


Mirai è una ragazzina di prima media all’inizio della sua pubertà, e pertanto in guerra con il mondo. Il primo giorno delle vacanze estive viene incaricata dalla madre di accompagnare il suo fratellino Yuuki, di otto anni, ad una mostra di robotica ad Odaiba.
Tutto sembra andar bene, ma quando stanno per tornare a casa succede l’impensabile: un portentoso terremoto colpisce la più grande megalopoli del mondo, gettando nel caos l’intera popolazione! Riusciranno Mirai e Yuuki, accompagnati dalla loro compagna di viaggio Mari, a tornare a casa a Setagaya, a quasi 20 km da casa? Quali pericoli si nascondono in una città colpita da un terremoto di magnitudine 8?

La trama di questa breve serie da undici puntate è molto semplice: si tratta di un viaggio in un ambiente quasi postapocalittico: il sistema di trasporti è interamente saltato, e palazzi pericolanti incombono sui tre protagonisti. La trama non è però la parte importante di questo anime: esso è infatti un viaggio nell’umanità in ogni sua sfaccettatura: gentile, arrogante, pietosa, irrispettosa, triste, giocosa e quant’altro.
Il viaggio che ci si ritrova a seguire tocca infatti ogni tipo di persona: si passa dalle folle ignoranti e pericolose, che spintonano e dividono, a persone che nonostante gravi lutti danno tutti loro stessi per aiutare il prossimo (probabilmente anche per tener occupata la mente). Si incontrano i soccorritori, sotto stress ma spesso con un sorriso, e i medici, confrontati con l’ira delle persone contro di loro: si vede come una situazione di assoluta emergenza può trasformarsi per il baratro della disperazione per chi ha perso una persona cara, e chi invece ne segue gli sviluppi poiché affascinato dalle meccaniche di soccorso.
Tutto ciò avviene in fugaci contatti, poiché ogni puntata fa proseguire il viaggio con diverse persone che si incontrano in questa o quella situazione: ogni cosa lascia però una traccia nella psiche dei tre viaggiatori, che ne risultano pertanto arricchiti.

Parlando di loro tre, bisogna dire quello che è a mio parere il punto più eccezionale di Tokyo Magnitude 8.0: l’umanizzazione dei protagonisti. In sole undici puntate la BONES riesce a creare tre persone vive, pulsanti, reali. Iniziamo parlandi di Mari, l’adulta del gruppo: si prende cura dei due bimbi con un affetto che inizialmente pare incomprensibile e apparentemente dettato solo da motivi di trama, ma con il tempo si arriva a capire come mai lei si attacchi così tanto anche a bambini non suoi. Tragedie personali e la necessità di tornare a casa, unitamente alla stessa direzione di viaggio, la portano a diventare quasi una seconda madre con loro. Risulta paziente oltre ogni limite, ma lo è per necessità: è l’unica del gruppo che può reggere il carico di stress che una simile situazione comporta, e lo fa egregiamente.
Passando a Mirai, si può dire che è il personaggio che cresce di più nell’intero arco narrativo. Come detto, inizia come la classica bambina di 11-12 anni per cui i genitori son cattivi, la scuola è noiosa, il fratellino è stupido e i passatempi sono una rottura: capisce quanto tiene alla sua vita e alla sua consuetudine solo quando esse vengono stravolte, e durante il viaggio si nota un poderoso e credibile processo di maturazione dovuto alle varie emergenze a cui si trova a far fronte.
Si finisce con Yuuki, un bambino gioioso e -come buona parte dei bambini di sette/otto anni- desideroso di affetto e di armonia. Sin dall’inizio dimostra con sincerità i suoi sentimenti, e le motivazioni dei suoi gesti sono quasi sempre nobili: diversamente dal solito, inoltre, non è un bambino lamentoso che fa i capricci e che rallenta il gruppo apposta e, anzi, spesso tenta di fungere da conciliatore per la più emotiva ed instabile Mirai.
Questa meravigliosa caratterizzazione dei personaggi porta ad un senso di attaccamento quasi viscerale, che porta a sincero dispiacere nel caso di problemi per il trio e a gioia quando le cose funzionano bene: tutto ciò getta inoltre le basi per un finale assolutamente imprevedibile, emozionantissimo ed estremamente intenso.

Dal punto di vista un po’ meno brillante, si può segnare che alcune puntate nella sezione centrale sono forse un filino sottotono rispetto all’inizio e alla fine: inoltre, alcune cose vengono forse tirate un po’ troppo per le lunghe e rendono la visione un filino lenta. Lungi da me voler dire che è una serie noiosa o poco appassionante, ma qualche minima sforbiciatina qui e là avrebbe potuto forse portare un effetto ancor migliore, mantenendo sempre alto il livello di tensione che risulta generalmente presente.

Sui disegni ho da dire due cose molto belle, e una un po’ meno. La prima cosa bella è che gli sfondi sono molto belli, e vedere Tokyo devastata con tutti i suoi simboli abbattuti fa un effetto strano ma assolutamente affascinante; la seconda cos buona è che i personaggi sono disegnati in maniera decisamente più semplice, ma l’espressività è perfetta e trasmette brillantemente l’emotività dei personaggi. La cosa un po’ meno gradita è che i due elementi ogni tanto non si mischiano alla perfezione, e nelle immagini più ampie ci si ritrova con sfondi dettagliatissimi e dei personaggi quasi stilizzati al loro interno, creando un effetto di distacco che un po’ rovina l’effetto.
Le musiche si tengono in sottofondo, senza mai prendere il sopravvento: alcune scelte sono ben fatte, ma in generale non si fanno notare. Simpatica opening ed ottima ending; è inoltre da fare un encomio alle seiyuu per aver fatto un egregio lavoro di doppiaggio. D’altra parte, quando una delle doppiatrici fa Kobayashi di cognome…

Insomma, come si può capire ho apprezzato moltissimo Tokyo Magnitude 8.0. Per quanto la storia sia molto basilare secondo me raggiunge i limiti dell’eccellenza, grazie a poderosi personaggi che sono confrontati con vicende terribili. Ritengo sia uno dei più bei lavori del 2009.

Voto: 9,5. Ho un debole per serie con personaggi a cui ci si può correlare, e la cui umanità sorpassi quella di molta gente esistente: Tokyo Magnitude 8.0 è una di esse. Eccezionale.

Consigliato a: chi ama le serie dove non si ride ma si spera; chi ha amato personaggi come Balsa di Seirei no Moribito, e vuol vederne un alter ego moderno; chi vuol conoscere la rana aliena a.k.a. l’alieno col telefono a.k.a. il re delle merendine a.k.a. il lord dei pisolini.

Dogs: Stray Dogs Howling in the Dark

…Un’oretta di pistole e sparatorie, nel mondo della malavita.

Dogs: Stray Dogs Howling in the Dark


Questo breve anime si compone di quattro OVA di circa quindici minuti, che raccontano la storia di quattro personaggi legati in maniera differente ad un mondo che con la legalità non ha molto a che spartire. C’è chi è un assassino a pagamento, chi una spadaccina in addestramento, chi un informatore segreto e via dicendo: in ognuna delle puntate si segue la vicenda di uno di loro, che si intreccia con quelle degli altri. Ma chi sono questi quattro personaggi? Come mai sono finiti in questo mondo? Cosa stanno cercando?

Le quattro brevi storie narrate sono abbastanza semplici e lineari: viene presentato un personaggio, si fa capire un po’ chi è e da dove arriva, lo si fa combattere e poi tutto si conclude. In meno di un quarto d’ora per ognuno non c’è molto spazio per fare altro: i personaggi risultano pertanto parecchio abbozzati, e le loro reali motivazioni non traspariscono quasi mai.
Fino a qua non c’è nulla di male, ma bisogna dire che in tre delle quattro storie si ripete lo stesso errore: all’inizio si preannuncia una tamarraggine estrema (cosa positiva), poi si incontra un cattivo che pare quasi demoniaco (cosa positiva)… e poi finisce tutto con qualche colpo di pistola nelle gambe, forse qualche morto qui e là e il cattivone che si pente e fa il discorsetto di presa di coscienza prima di lasciarci le penne (cosa MOLTO negativa). È peccato perché tutte le vicende iniziano con un buon passo, e anche un breve sviluppo avrebbe potuto essere più interessante ed affascinante.

I combattimenti in sé sono abbastanza gradevoli: togliendo la seconda storiella (che ha un taglio decisamente più comico delle altre tre), ci sono qui e là scene di decente/buona qualità che coinvolgono pistole, spade e pugnali: non ci si deve aspettare il miracolo, ma qualche sequenza interessante si riesce a trovare senza troppa fatica.

Il disegno è buono, il movimento è fluido, l’occhio ne è contento: le musiche risultano invece un pochino anonime.

Insomma, vale la pena guardarsi Dogs: Stray Dogs Howling in the Dark? Se si ha un’oretta da occupare a cervello spento, potrebbe esser preso in considerazione. La più grande lamentela che mi sento di fare, tuttavia, è che più che una serie sembra un teaser che preannuncia qualcosa di più grosso: questi quattro OVA sono infatti stati creati come prequel del relativo manga, che va avanti da parecchio tempo.
Questo in sé non è un difetto (vedasi ad esempio il buon lavoro fatto con Ga-Rei Zero), ma in questo caso si viene davvero lasciati con un assaggino di un mondo che si capisce essere estremamente più grande, e poco più.

Voto: 6,5. Non è malaccio, in fin dei conti: l’inconsistenza delle trame e l’incompletezza giocano però un grosso ruolo.

Consigliato a: chi apprezza gli ambienti di illegalità e malessere; chi cerca sparatorie e accoltellamenti; chi vuol conoscere il bar Buon Viaggio, dove pare che tutte le storie del mondo s’incontrino.

Whisper of the Heart

…La tranquilla crescita di un’adolescente degli anni ’90.

Whisper of the Heart


Ci troviamo in Giappone, una quindicina d’anni fa; XXX sta finendo le medie e, a parte una gran passione per i libri, non ha particolari interessi. Non sa ancora cosa farà del suo futuro, ma la cosa non pare interessarla molto: il solo quesito che si pone è l’identità di XXX, che pare aver letto tutti i libri da lei scelti in biblioteca prima di lei.
Questo la porterà a confrontarsi con le prospettive del suo futuro: sta davvero prendendo la strada che vuole? Chi dovrà accompagnarla nel suo percorso di crescita?

La trama, come si può facilmente intuire, non è il punto centrale di questo OVA della durata di circa due ore: è in realtà una vicenda che parla dell’evoluzione di XXX da bambina a ragazza, in vari ambiti.
In primis c’è l’aspetto delle passioni, degli interessi, del futuro: il confronto con una persona più sicura di lei la porta a doversi fare delle domande, e a scoprire di non avere le risposte che pensava di aver in tasca da sempre.
Anche l’aspetto sentimentale, ovviamente, gioca il suo ruolo. L’incontro con XXX segue i più classici canoni dello sviluppo di un rapporto, passando dall’antipatia, all’amore-odio, finendo con la negazione del sentimento ed infine con l’accettazione dello stesso: questo viene però effettuato in maniera delicata e intelligente, rendendo meno banale il tutto e lasciandolo pienamente godibile.

A tal punto, si possono spendere due parole anche sui personaggi e sull’ambientazione. Questi due elementi risultano praticamente inscindibili per un semplice motivo: dal tempo in cui Whisper of the Heart è ambientato ad oggi il mondo, soprattutto quello giovanile, è cambiato in maniera radicale. Con un pizzico di nostalgia si può tranquillamente dire che una bella storia come quella qui raccontata non potrebbe più accadere al giorno d’oggi, semplicemente perché la contaminazione tecnologica dei rapporti tra i giovani ha modificato radicalmente i rapporti tra questi ultimi. Questa non vuole essere una condanna o una critica, poiché ad ognuno spetta decidere se tale cambiamento sia stato positivo o negativo: è però un dato di fatto che rende irripetibile una vicenda come questa.
Detto ciò, si può comunque aggiungere che tutti gli attori rilevanti che si recano in scena fanno egregiamente il loro lavoro. I due protagonisti hanno un carattere in formazione (dato ovvio, vista l’età) ma particolarità già formate che li rendono differenti seppur compatibili.
I coprotagonisti, inoltre, aiutano bene a sviluppare l’ambiente che coinvolge gli eventi narrati: i genitori di XXX, così come le sue amicizie – e senza dimenticare la strampalata famiglia di XXX! -, aiutano la seppur semplice storia e rendono ancor più completo il tutto.

Il disegno è negli standard dello Studio Ghibli, con alcune immagini davvero notevoli e l’animazione che oramai si fa riconoscere nello stile senza particolari problemi: la colonna sonora è estremamente curiosa, basandosi principalmente sulla canzone “Country Roads” che quasi tutti conoscono. Questo, oltre che divertente, è anche importante ai termini della trama: tale pezzo ha infatti una certa rilevanza durante tutta la visione.

Insomma, Whisper of the Heart può essere considerato un classico dello stile Ghibli. La storia non è niente di eccezionale, anzi; il fulcro sta però altrove, e in tale ambito la riuscita è decisamente alta. Non sarà magari una delle visioni più memorabili della storia, ma si lascia guardare con piacere: magari qualche giovane potrebbe trovarne anche qualche buon consiglio, seppur lievemente anacronistico.

Voto: 8. Godibile, anche se non lascia il segno.

Consigliato a: chi vuol vedere da dove è nata la storia che è alla base dell’OVA The Cat Returns, sempre dello Studio Ghibli; chi apprezza le storie semplici e dal buon cuore; chi vuol sentire varie versioni di Country Roads, in diverse lingue, senza stancarsene mai.

Neko no Ongaeshi

…Un’imberbe ragazzina catapultata nel mondo dei gatti!

Neko no Ongaeshi


Haru è una normalissima liceale, con i più caratteristici tratti distintivi: si sveglia sempre tardi per andare a scuola, salta colazione, è infatuata di un ragazzo già occupato e, fondamentalmente, non ha grandi scopi nella vita.
Un giorno, tornando a casa da scuola, salva un gatto da un camion che stava per travolgerlo: quest’ultimo, in segno di ringraziamento… si alza in piedi e si inchina, parlandole in maniera galante e forbita! Haru chiaramente rimane basìta, e durante la notte la situazione non fa che diventar più stramba.
Davanti a casa sua si svolge infatti una processione di gatti su due zampe, che accompagnano il re del regno dei gatti: si scopre che il gatto salvato altri non era che il principe di tale regno, e che Haru verrà adeguatamente ricompensata.
Inutile dire che il concetto di “gratitudine” per un gatto è decisamente diverso da quello di un umano: cosa dovrà aspettarsi Haru? Come farà a liberarsi dalla scomodissima (seppur non malevola) situazione in cui si trova? Dove potrà cercare alleati?

La storia di Neko no Ongaeshi (altresì chiamato The Cat Returns) è decisamente curiosa ed inusuale (anche perché questa storia nasce come semi-spinoff di Whisper of the Heart – a voi scoprire come i due sono collegati!), ma risulta piacevole da seguire.Come d’abitudine non ci sono dei veri cattivi, e si seguono le vicissitudini di Haru in un mondo a lei alieno (e che la avvicina sempre più in un felino) mentre tenta in primis di orientarsi, ed in seguito di tornare a casa. Qualche simpatica sorpresa qui e là si nasconde, ma non arriverei a parlare di colpi di scena.

I personaggi sono forse la parte più piacevole di questo film: come detto sopra non ci sono personaggi “da odiare”, e l’ambiente risulta leggero nonostante il grave problema in cui Haru si trova. I coprotagonisti sono fenomenali: la classica accoppiata gentiluomo (o meglio, gentilgatto) e buzzurro funziona come non mai. Sulla protagonista, purtroppo, bisogna dire una cosa: sebbene in un paio di momenti venga ricordato che per risolvere il suo problema lei debba capire chi è veramente, alla fine dice “ho capito”, ma in realtà tale sviluppo viene totalmente saltato. È un peccato, perché questo porta l’anime a mancare di qualcosa che rimanga, come sensazione o come messaggio, e lo rende un po’ meno intrigante di altri suoi fratelli.

Il disegno è gradevole e l’animazione è fluida, ma bisogna dire che per essere del 2002 il tratto è un po’ approssimativo. Sia ben chiaro, questo non vuol dire che sia brutto da guardare – ma ci son altri lavori, anche di case produttrici meno blasonate, che in quegli anni han prodotto disegni migliori.
L’audio è come al solito di buona qualità, con una sigla finale che ho trovato molto bella e che ben rispecchia l’ambiente tutto sommato spensierato e giocoso dell’anime che va a concludere.

Insomma, Neko no Ongaeshi – The Cat Returns è un anime che si lascia guardare con piacere, ma che non lascia il segno nella mente di chi guarda: l’ora e un quarto di proiezione vola senza intoppi, ma una volta arrivati al termine difficilmente ci si accorge di non esser rimasti vittime del senso di magia che possono lasciare altri lavori come Spirited Away o Totoro.

Voto: 7,5. Simpatico, gradevole, allegro, spensierato… e poco più.

Consigliato a: chi vuole un pochino di sincero relax; chi vuole un film senza grandi storie e crudeli nemici; chi vuol sapere cosa fanno i gatti lontano dai nostri occhi.

Skip Beat!

…Quanto lontano si può arrivare per vendetta? Fino alle vette dello show-biz?

Skip Beat!


Kyoko è una ragazza che per amore di Shotaro, suo amico d’infanzia, ha abbandonato tutto: subito dopo le scuole medie lo ha seguito a Tokyo per assisterlo nel suo sogno di diventare una stella dello spettacolo. Con la sua fama oramai in stabile crescita, tuttavia, Kyoko nota che il distacco è sempre maggiore: nonostante lei abbia rinunciato a qualsiasi studio, abbia due lavori per mantenere un lussuoso appartamento, cucini, lavi, stiri e quant’altro, non riceve mai nulla in cambio.
Continua tuttavia a sopportare il tutto, fino a quando per errore non scopre che Shotaro l’ha sempre usata come sguattera, senza mai essersi interessato a lei!
In preda alla più incontenibile furia, Kyoko giura pertanto vendetta – solo per sentirsi derisa da Sho. Come può una comune ragazzina toccare una star? La sfida è lanciata: “diventa qualcuno nel mondo dello spettacolo, e fammi vedere cosa vali!”
Kyoko prende alla lettera le parole del suo oramai giurato nemico, e inizia la sua strada per immettersi nel difficile e finora sconosciuto mondo dello show-biz. Ma ce la farà ad entrare in un’agenzia rinomata? A cosa dovrà sottoporsi per poter primeggiare sulle tante concorrenti? Sho le farà fare tutto quel che vuole?

Questo anime di venticinque puntate è composto da molte parti importanti: iniziamo a valutare la trama in sé, legata al progredire di una ragazza inizialmente senza particolari talenti nello spietato mondo delle agenzie di personaggi famosi. Bisogna ammettere che, nelle prime puntate, si ricorre al sempre abusato trucco del “finché hai le palle per farlo ce la fai”, e questo risulta un po’ artificioso – soprattutto perché è ben risaputa la difficoltà dei provini in cui si cercano star da lanciare alla ribalta.
Anche il sistema del ripescaggio, dovuto al lungimirante direttore, sembra quantomeno tirato per i capelli: la sezione “Love Me” mal si integra con quel che in seguito si vedrà.
Questo non faccia però pensare che l’intera struttura sia instabile: concedendo tali scivoloni iniziali (pressoché necessari, dato che Kyoko dal nulla si getta in un mondo sconosciuto!), una volta ingranata la situazione le cose migliorano sensibilmente. Quando Kyoko inizia a cimentarsi con la recitazione è uno spettacolo: generalmente utilizza tutta la sua rabbia repressa e il suo indicibile odio, unitamente ad un innato talento recitativo che si scopre man mano, per stravolgere le carte in tavola ed offrire sia ai protagonisti che agli spettatori delle performances veramente impressionanti. Il disegno aiuta moltissimo in ciò (e su ciò torneremo in seguito), e sicuramente la seyuu (Marina Inoue, che ha anche fatto Yoko in Tengen Toppa Gurren Lagann… robetta da niente) fa un lavoro più che eccelso nel rappresentare degli stati d’animo che posson passare dall’angosciato al crudele con il massimo effetto.
Bisogna dire che Kyoko ha, nella recitazione, due aiutanti d’eccezione: i due coprotagonisti principali, Ren e Kanae, agiscono con egual abilità e quando s’incontrano sul set creano delle sezioni davvero interessanti.

La seconda cosa che risalta in questa serie -e in questo caso, risulta ovvia sin da subito – è la potente comicità che soprattutto nella prima parte esiste. Si ha il solito set di battute, ma in questo caso l’umorismo si distacca lievemente dalle abitudinarie scenette: in questo caso, a creare la maggior parte di situazioni divertenti sono gli atteggiamenti demoniaci di Kyoko (che ricorda in maniera estrema Sunako di Yamato Nadeshiko Shichi Henge, con cui ha moltissimi tratti in comune) e la serafica calma, che nasconde una fredda furia, di Ren: giocando principalmente su questi due elementi si riescono a creare un numero impressionante di situazioni davvero divertenti che, nonostante ad un prim’occhio possano sembrare ripetitive, riescono sempre a strappare un sorriso.
Anche altri personaggi partecipano a varie scenette, ma sono in misura decisamente minore: la parte da leone è rappresentata dai due elementi sopra citati. Anche in questo caso, un punto assolutamente vitale è l’animazione e il disegno, che spesso fa più ridere delle battute stesse – soprattutto quando Kyoko esprime tutta la sua incontenibile follìa omicida verso qualcuno.
Purtroppo (per i miei gusti, perlomeno) questo ambiente di divertimento viene un po’ rarefatto quando, nella seconda metà della serie, si entra a capofitto nel mondo della recitazione e quando iniziano a comparire i seppur prevedibili legami d’empatia tra i vari attori in gioco.

Parlando di ciò, sicuramente va detto il terzo punto su cui Skip Beat! mette l’accento: i sentimenti. Non si terrorizzino gli antagonisti degli anime sentimentali, poiché qui non cola amorepuccipucci dalle pareti, con il rischio di prendere il diabete solo guardando una puntata.
Si passano infatti molti diversi stati d’animo e tante emozioni vengono vissute dai vari personaggi: la solitudine, l’allegria, l’abbandono, l’amicizia, l’odio (tanto, taaanto odio!), il rimorso, la speranza,… tutti vengono espressi con sufficiente delicatezza, per non far diventare la serie un polpettone melenso, e questo porta anche i meno avvezzi a sopportare con facilità tali eventi, lasciando però agli amanti di tali emozioni il gusto di assaporarli in maniera brillante.
Verso la fine, come detto, viene un po’ accantonato il lato comico (questo non vuol dire che non si rida, ma accade meno spesso) per puntare di più sull’aspetto empatico dei personaggi che oramai si è arrivati, in linea di massima, ad apprezzare e rispettare: in questo si potrebbero trovare delle similitudini con Nana, che dell’aspetto multi-sentimentale aveva fatto un suo cavallo di battaglia.

Il disegno è davvero epico. Chi leggesse questa recensione e poi andasse a vedersi la serie, potrebbe inizalmente pensare che io sia matto: il fatto è che il punto focale non è la capacità tecnica della Hal Film Maker (che pure ha creato un anime molto bello da vedere), ma l’utilizzo delle varie tecniche (facce ultraserie alla Minami-ke, super-deformed,…) è mescolato alla perfezione per dare il massimo della resa in tutte le varie situazioni – e soprattutto nei due aspetti che più ho gradito, la recitazione e la comicità.
Anche l’audio è di tutto rispetto, con due opening e due ending ben orecchiabili (sebbene la prima coppia mi sia parsa decisamente migliore della seconda) e un supporto audio adeguato alle situazioni.

Insomma, un capolavoro, una meraviglia, una pietra miliare? Beh, non proprio. Skip Beat! risente comunque di qualche difettuccio: come indicato prima, l’inizio fatica un po’ ad ingranare dal punto di vista della trama e il finale perde un po’ di mordente sul lato comico (seppur quest’ultimo dettaglio sia giustificabile dai problemi in corso, ed è encomiabile che comunque non si sia caduti nell’assoluta serietà), e qualche punatata forse può risultare un po’ sottotono.
Inoltre, il finale è davvero tranciato con un machete: capisco che il manga sia tuttora in produzione, ma arrivare ad un punto vagamente più definito anziché mutilare tutto senza concludere ALCUNA trama, seppur minimamente, risulta davvero fastidioso.
L’unica speranza, per me che non ho letto il manga, è in una seconda serie: se la qualità rimanesse la stessa della prima potremmo trovarci ad un’ottima serie comica (qualora si riprendesse l’aspetto ilare delle situazioni) oppure una deriva che potrebbe portare verso un mondo più serio, come in Nana, dato che le basi potrebbero esser state gettate. Chissà…

Voto: 8,5. Un’altalena di sensazioni, qualche discorso davvero carino, parecchie risate e un personaggio che può diventare Satana: decisamente di mio gradimento, nonostante il paio di pecche.

Consigliato a: chi apprezza le commedie d’amore con molta commedia e non troppo sentimento; chi gradisce battute crudeli e che augurano morte e distruzione a chiunque capiti a tiro; chi vuole un pollo gigante a cui confessarsi.

Wicked City

…Il mondo dei demoni e quello degli umani finalmente in pace?

Wicked City


Da millenni il mondo dei demoni e quello degli umani coesistono, tra momenti di guerra e momenti di tregua. Negli ultimi secoli la situazione è stata regolata da un patto di non aggressione, che tuttavia sta per scadere. Il lavoro di Taki, una guardia nera umana (come son chiamati gli agenti che puntano a mantenere l’ordine tra i due mondi), è quello di scortare fino alla firma del nuovo trattato di pace Giuseppe Mayart, un antico demone che vive sulla terra, e dovrà farlo con l’ausilio di Makie, un’avvenente guardia nera che proviene dal regno dei demoni. Riusciranno nella loro missione? Le cose sono veramente come sembrano? Come mai ogni loro azione pare gettarli ancor più nei guai?

Va detto in primis che questo anime è indirizzato ad un pubblico adulto (o adolescente in calore, a scelta): esso rasenta infatti parecchie volte il confine che divide l’anime osé dall’hentai. Riesce sempre (e questo è un pregio) a mantenersi nei limiti dovuti, seppur a malapena: inoltre, la violenza è abbastanza intensa con braccia strappate, gente stuprata e dicendo: non ci sono molte occasioni nell’oretta e mezzo di proiezione per ammirare tali eventi, ma quando ci sono si fanno notare.

Passando alla storia, si deve dire che per tre quarti del film tutti i protagonisti sembrano idioti. Le azioni più logiche non vengono eseguite, portando a inutili complicazioni che avrebbero potuto esser facimente evitate. Arrivare alla fine e svelare il vero segreto della storia stessa da, in retrospettiva, un vago senso di logica al tutto: questo non basta tuttavia a ripagare dell’ora di incazzatura per i personaggi che si muovono erraticamente in un’ambientazione spoglia e cupa.

Parlando di personaggi, bisogna dire che i due protagonisti sono davvero insulsi. Taki è davvero il morto di figa che sembra, e Makie non riesce mai a rendersi davvero interessante. Nessuno dei due sviluppa nulla di logico, se non un’attrazione reciproca che -dato il tono sexy dell’anime- è assolutamente scontata.

I combattimenti non sono moltissimi, e la qualità non è eccelsa: si spera sempre di vedere qualche supermossa da parte dei demoni ma solo in rari casi si viene accontentati. Da notare con piacere il super-rinculo della pistola di Taki, dato che deve disintegrare demoni (ben più resistenti degli umani): viene tuttavia da chiedersi che razza di schiena abbia, per riuscire a sfondare così tanti muri in cemento…

Il disegno, per essere del 1987, non è malaccio ma dimostra tutti i suoi anni, rimanendo un passo sotto altri lavori degli stessi anni. L’audio, come in molti film del genere, risulta quasi assente: peccato.

Insomma, Wicked City porta un paio di idee carine e un paio di cambi di trama che non sono malaccio, ma non riesce a convincere a causa della scarsissima caratterizzazione dei personaggi, palesemente indirizzati solo ad accoppiarsi prima della fine dell’anime: questo porta con sé una prevedibilità che rende abbastanza banale il resto, e anche il finale moderatamente sorprendente non riesce a raddrizzare appieno il tutto.

Voto: 5,5. Ero tentato a dare la sufficienza in virtù del paio di buone idee, ma in fin dei conti devo ammettere di non essermi interessato o divertito granché: questo è un crimine grave, per un anime.

Consigliato a: chi vuole un po’ di erotismo senza scadere nell’hentai; chi cerca qualche rissa demoniaca senza troppe pretese; chi si chiede quanto può esser pericoloso incontrare una vagina gigante e semovente, o una demonessa-ragno-con-i-denti-proprio-lì.

Demon City Shinjuku

…Se l’inferno prendesse possesso di una città per dieci anni, come si prospetterebbe il futuro?

Demon City Shinjuku


Dieci anni fa, una grande sfida tra un grande spadaccino e un malvagio posseduto da demoni si svolse nella città di Shinjuku: purtroppo il cattivo, Rebi Ra, ebbe la meglio e uccise il buono, Genichirou.
Da allora l’intera città di Shinjuku (una frazione di Tokyo) risulta off-limits praticamente per chiunque, in quanto abitata da demoni e mostruosità: purtroppo, dopo questi dieci anni Rebi Ra è pronto ad incrementare ulteriormente la sua influenza sul mondo, aprendo le porte dell’inferno e portando l’intero mondo demoniaco sulla terra! Starà pertanto al figlio di Genichirou, Kyoya, riuscire a fermare il malvagio piano in atto. Ma ne sarà in grado? Chi lo accompagnerà in tale pericolosa avventura?

Come si può inturile, in questo film di circa un’ora e venti la storia non è sicuramente il punto forte: anzi, la sua debolezza e scontatezza appaiono sin da subito palesi. L’idea di base è l’archetipo di ogni banale avventura, e purtroppo non ci sono particolari svolte che permettono un miglioramento in tale ambito. Gli avvenimenti sono prevedibili, e quelli che non lo sono risultano comunque inutili.

Vedendo la battaglia iniziale, si poteva tuttavia aspirare ad un anime che portasse dei combattimenti degni di tale nome: purtroppo essi sono sorprendentemente pochi, e decisamente insoddisfacenti. Solo in un paio di situazioni si vede qualcosa di simpatico, mentre per il resto le battaglie sono statiche e abbastanza noiose. Il combattimento finale è davvero una presa per il culo: quando ci si aspettava finalmente qualche bella mazzata, tutto vien risolto nel peggiore dei modi.

I personaggi rispecchiano la qualità del resto dell’anime: non antipatici, ma abbastanza insulsi. Il protagonista è il classicissimo giovinastro che corre dietro alle gonnelle ma in realtà ha i superpoteri; la sua compagna di viaggio è inutile, e per essere la coprotagonista è un tantinello scialba; gli altri elementi che si incontrano in giro non riescono a fare la differenza. Il cattivo principale è quasi patetico, dato che appare solo per il tempo necessario ad essere preso a calci.

I disegni, per essere del 1988, sono abbastanza buoni: almeno in tale ambito è stato fatto un lavoro di tutto rispetto. Decisamente meno attenzione è stata invece data al sonoro, che è praticamente assente e che porta lunghissime parti di anime ad essere pressoché mute.

Insomma, Demon City Shinjuku non riesce a convincere in nessuno dei punti importanti dove dovrebbe impressionare. Non riesce ad attrarre lo spettatore con niente, e il risultato è un lavoro non terribile, ma noiosetto e senza mordente.

Voto: 5. Non si va più sotto perché non c’è nulla di davvero orrendo… ma nemmeno nulla di davvero salvabile.

Consigliato a: chi ha un’ora e venti da occupare e non sa davvero cosa guardare; chi apprezza anime ambientati in versioni distrutte di posti reali; chi vuol vedere la bella meno bella di un anime.