Hidamari Sketch

Di nuovo la Shaft, e stavolta con uno slice of life puro:

Hidamari Sketch

Questa serie si svolge attorno alle vite di quattro ragazze che abitano nel complesso Hidamari, una classica casa da studenti, e che vanno ad una scuola d’arte. Come detto sopra, è uno degli slice of life più estremi che mi sia mai capitato di vedere: nessun approfondimento di nessun genere, nessun background dei personaggi (anche se ogni tanto qualcosa si intravede), nessuno sviluppo di storia tra le puntate, che riguardano singoli giorni staccati tra loro anche di diversi mesi, e nemmeno in ordine. Le uniche cose che si vedono sono chiacchiere ed avventure di ogni giorno, senza alcun particolare avvenimento.

I caratteri dei personaggi risultano chiari sin da subito, con i classici comportamenti: la timida e impacciata, la casinista, la moe e il maschiaccio; vista la classicità dello show, tuttavia, la cosa risulta logica.

Purtroppo il fatto che sia stata creata una serie che potrebbe essere definita l’emblema degli anime senza trama si fa sentire: dodici puntate senza alcun avvenimento degno di nota risultano un po’ tanti. Anche altri show come Lucky Star, Minami-ke e Azumanga Daioh sono molto simili, ma un filo logico un po’ più concreto lega le varie puntate e si arriva alla fine che si conoscono i personaggi in maniera abbastanza approfondita: in Hidamari sketch questo viene a mancare, facendo perdere un po’ il pathos della serie.

Per fortuna, il settore grafico è invece la summa di tutte le abitudini della Shaft: grafica vettoriale mischiata a disegni a mano, pastrocchi da bambini aggiunti a fotografie reali, oggetti casuali, montaggi assurdi e quant’altro rendono la visione davvero spettacolare. Siate però avvertiti: se la grafica di Pani Poni Dash e Sayonara Zetsubou Sensei non vi sono piaciute, anche questa non vi ispirerà. È infatti l’evoluzione delle serie sopraccitate, che porta sempre più verso una grafica che non è più solo il modo di far vedere cosa sta succedendo, ma risulta un mezzo di comunicazione aggiuntivo oltre alla trama e ai dialoghi.
L’audio è invece un po’ meno impressionante: le sigle siano canzoncine leggere ben si adattano al tipo di anime, e le musichette nelle puntate sembrano prese dai lavori precedenti: senza infamia e senza lode.

In definitiva, Hidamari Sketch è uno slice of life di buona fattura, che però fatica ad attirare l’attenzione in virtù della sua assoluta mancanza di contenuti.

Voto: 7.5. Un lavoro un po’ sotto tono, per una delle mie case produttrici preferite.

Consigliato a: chi ha amato i precedenti lavori Shaft; chi vuol vedere quanto un anime può non parlare di nulla; chi vuol vedere il sogno più assurdo che sia mai stato realizzato in un cartone animato.

Darker Than Black

Che succede quando agli esseri umani vengono dati dei superpoteri?

Darker Than Black


Li Shengshun è un immigrato cinese in Giappone. Va a vivere a Tokyo, città nella quale si sta costruendo una muraglia più alta ancora dei grattacieli attorno all’Hell’s Gate, una zona dove la realtà è tremolante e relativa, e che porta morte e pazzia. Le stelle in cielo non sono più quelle originali, ma sono finte.
Ciò che si scopre subito è tuttavia che Li non è il solito studente immigrato… ma un Contractor, che equivale ad un possessore di poteri con una coscienza “annullata”, spia ed assassino.
La storia si sviluppa attorno a lui e al suo gruppo composto da una Doll, una bambina senz’anima che serve da radar umano, un gatto parlante e un arzillo uomo di mezz’età.

La storia inizialmente rimane molto oscura e misteriosa, lasciando capire molto poco della trama principale: si viene catapultati direttamente in questo mondo molto simile al nostro e nel contempo molto diverso, con molte regole da noi inesistenti e l’opprimente esistenza dei Sindacati che macchinano dietro ad ogni cosa per il loro beneficio.
Sin da subito l’ambientazione è risultata estremamente coinvolgente e affascinante: considerando che questo anime non deriva da un manga ma è una creazione originale, gli sceneggiatori hanno avuto il loro bel da fare per creare un mondo coerente e funzionale che non andasse mai in contraddizione con sé stesso. Le caratteristiche e i limiti di questi superpoteri sono scoperti durante le prime puntate -che sono principalmente dedicate a ciò-, che riescono a far capire il funzionamento di tutte le leggi esistenti senza doverle quasi mai spiegare apertamente: la cosa risulta molto piacevole e appagante.

I superpoteri in sé sono ottimamente realizzati. Ce ne sono di tutti i generi: chi può emettere elettricità, chi ha le impronte digitali esplosive, chi congela tutto al tatto, chi può scatenare uragani,… e sono tutti utilizzati in maniera intelligente, ed ogni personaggio ne fa un uso saggio. Non possono tuttavia essere usati a raffica senza ritegno, perché ogni contractor deve “pagare pegno” ogni volta che ne usa uno: anche in questo caso, le cose da fare variano estremamente. Si passa dal dover fumare sigarette al doversi spezzare le dita, dal bere birra compulsivamente al sistemare ordinatamente dei sassolini; la scoperta di tutti questi tic dei personaggi è un altro dettaglio molto bello, che caratterizza moltissimo anche le comparse minori ed aiuta a creare un senso di realtà in un mondo altrimenti totalmente assurdo.

Tutto bello e tutto perfetto, quindi? Beh, no. Per quanto l’ambientazione sia bella ed i personaggi siano ottimamente realizzati (e man mano che si scopre di più su di loro si capisce da dove arrivano le ombre nei loro cuori), la carenza si annida un po’ nella trama.
Non che sia totalmente sconclusionata o mal fatta, ma per il 70% della serie non ne si vede traccia; anche quando si arriva a puntata 20 su 24, si corre ancora dietro a delle side-story senza focalizzare l’attenzione sul problema principale. Con un’ambientazione realizzata in maniera così magistrale avrebbero potuto creare una trama assolutamente spettacolare, sviluppando alcune cose che sono rimaste quasi totalmente inutilizzate (come la realtà distorta all’interno dei gate, o la storia della sorella di Li) lasciando un senso di spreco.

Inoltre, questa serie ha un tono decisamente serio: quando compaiono l’investigatore e la sua assistente, sembra di esser catapultati in un’altra serie. La tensione accumulata nelle puntate si spezza in maniera brusca e spiacevole: penso che gli sceneggiatori abbiano voluto inserire due personaggi che alzassero un po’ l’umore del tutto. Questo secondo me è stato un errore: sarebbe come se in Lain avessero messo un personaggio alla Groucho che dice sempre buffonate… c’entra come i cavoli a merenda, e non apporta niente alla storia in sé.

Artisticamente, Darker Than Black è ad altissimi livelli: i disegni sono molto belli e puliti, i combattimenti – anche in virtù dei spettacolari poteri che vengono utilizzati – sono davvero appaganti e piacevoli. Ancor meglio la parte audio, con delle musiche estremamente belle e un doppiaggio molto ben fatto. In tal caso unica minuscola nota di demerito alla doppiatrice della padrona di casa di Li: a video si vede una 70enne, e l’orecchio sente la voce di una 20enne che tenta di suonare rauca… fortuna che si vede poco, e non da molto fastidio.

In definitiva, Darker Than Black è un ottimo prodotto del 2007, che risulta molto bello da guardare e che crea un futuro alternativo assolutamente affascinante e completissimo. Se solo avessero costruito una trama più corposa e meglio sviluppata nelle 24 puntate, avremmo avuto davanti a noi un capolavoro.

Voto: 8.5. Non si può vivere di episodi stand-alone per sempre…

Consigliato a: chi apprezza dei buoni combattimenti, molto originali; chi non ha bisogno di ridere granché per apprezzare un ottimo lavoro; chi vuol vedere una gothic lolita che fa tutto ciò che le viene ordinato… sogno o realtà?

Nuku Nuku DASH

Che succede quando si va a rielaborare un anime del 1992?

Nuku Nuku DASH

Nuku Nuku è un’androide che, a causa della perdita della memoria, si ritrova a vivere a casa di Ryunosuke, un giovincello in piena crisi ormonale, e i suoi genitori scenziati. Il ragazzo s’innamora perdutamente di lei, senza sapere il suo segreto: lei è in realtà la Wonder Woman della città, che ha la missione di salvare tutte le vite. La Mishima Corporation, dove la madre di Ryunosuke lavora, ha però il compito di catturarla… riuscirà a sfuggire alla cattura, e scoprire il suo passato?

Nuku Nuku DASH è una rielaborazione di “All Purpose Cultural Cat Girl Nuku Nuku”, un anime del 1992. Recuperato nel 1998, sono state inserite molte variazioni di trama: nel ’92 Ryunosuke era il padrone di Nuku Nuku, mentre ora diventa il suo segreto spasimante, portando la serie -perlomeno nelle sue fasi iniziali- ad essere la classica storia d’amore.
Peccato che in questo fallisce miseramente: Ryunosuke è lo stereotipo del ragazzino totalmente immaturo che scopre di innamorarsi ma lo nega a sé stesso che abbiamo visto milioni di volte, ma in maniera davvero infantile e fastidiosa. Lei gioca bene la parte della ragazza che non ha capito che lui le muore dietro, ma su questo lato, secondo me, è un totale fallimento.
Per fortuna si recupera nella parte action della serie: i combattimenti, anche se sono sempre brevissimi, sono ottimamente realizzati e molto gradevoli da guardare. Dopo le prime puntate di ambientazione, anche la trama sembra diventare abbastanza interessante: alla fine perde forse un po’ di pezzi, ma recupera con un finale che, in tutta onestà, davvero non mi aspettavo minimamente. Su questo hanno fatto centro pieno.

I personaggi sono abbastanza scialbi, con l’eccezione forse di un paio di elementi (come la bimba vicina di casa): a parte i due protagonisti, gli altri fanno proprio la parte delle macchiette senza significati. Anche il padre, che all’inizio sembra una figura centrale, vien lasciato cadere con il procedere delle puntate. Un peccato.
Anche le gag che dovrebbero esser comiche risultano in genere delle freddure poco divertenti: per fortuna ce ne son poche nella serie, e i personaggi che le dispensano sono anonimi come gli altri, ma quando vengono presentate lasciano davvero un senso di gelo nel sangue.

Un altro punto a favore di questo anime è la musica, veramente buona: a partire dalla sigla fino alle musiche in giro per la serie, un’ottima parte del comparto audio è pienamente orecchiabile.
La grafica purtroppo non segue la stessa logica, risultando buona solo nelle scene d’azione e in casi particolari: nelle restanti scene non è che sia orribile, ma comunque si vede che avrebbero potuto dare di più (soprattutto per il viso di Ryunosuke, che ogni tanto sembra un cumulo di spigoli messo a caso).

Insomma, Nuku Nuku DASH non è malaccio, ma più che un remake è una totale riedizione del lavoro iniziale. Se dovesse capitarvi di reperirli entrambi, date la precedenza a quello del 1992.

Voto: 6. Raggiunge la sufficienza con alcuni buoni sprazzi, ma la qualità poteva esser meglio.

Consigliato a: chi ha amato Nuku Nuku e non si vuol far mancare uno spinoff; chi adora le storie d’amore platonico-infantili; chi vuol vedere una tizia in tuta che sventra un aereo a unghiate.